Un diritto non è ciò che ti viene dato da qualcuno; è ciò che nessuno può toglierti. (Giudice Tom C. Clark)

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PERCHE’ IL TEMA DELLA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI NON E’ PIU’ RINVIABILE

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Editoriale a firma dell’avvocato Alessandro Gerardi, pubblicato su Il Dubbio di sabato 8 luglio 2017

La proposta di legge costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati, sulla quale l’Unione delle Camere Penali Italiane e il Partito Radicale stanno raccogliendo le firme nell’indifferenza di pressoché tutte le forze politiche presenti in Parlamento, rappresenta una grande svolta destinata a riportare la giustizia ai suoi principi naturali. L’unicità della magistratura requirente e giudicante, infatti, si basa su una premessa che ormai è stata superata dagli svolgimenti politici e istituzionali successivi all’entrata in vigore della Costituzione. La premessa era la seguente: i giudici sono soggetti solo alla legge (sono cioè “indipendenti”) e I componenti dell’ordine giudiziario si limitano a darvi esecuzione. Ebbene, oggi questo modello è saltato. Nelle democrazie moderne il Giudiziario non è più quel “potere nullo” di cui parlava Montesquieu, ma costituisce il Terzo Gigante accanto agli altri due poteri dello Stato (Legislativo ed Esecutivo). Non a caso tutti oggi ammettono il carattere “creativo” dell’interpretazione, anche perché è la stessa complessità dei sistemi giuridici – l’integrazione europea e la globalizzazione – che porta alla estensione della discrezionalità di tutti i componenti del Giudiziario. Tutto ciò può anche essere visto con favore, se un Giudice forte e indipendente diviene il baluardo dei nostri diritti e delle nostre libertà, c’è però un risvolto della medaglia: la magistratura che “crea” la norma e che decide i conflitti collettivi, diventa sempre più simile al legislatore, ossia esprime una sua ineliminabile politicità. Man mano che il ruolo del Giudiziario si dilata, si fa strada la tendenza a diventare “controllori della virtù” delle dirigenze politiche e amministrative. Il potere giudiziario, quindi, prende decisioni di rilevanza politica, ma non è politicamente responsabile. Nella Costituente non vi era all’orizzonte l’idea di un Potere Giudiziario “forte”, ed in quel contesto quindi i magistrati requirenti e giudicanti potevano essere unificati perché entrambi si limitavano a dare esecuzione alla legge, entrambi cioè erano funzionari dello Stato vincolati al rispetto della legge con ridotti margini di discrezionalità. Ma nel momento in cui la discrezionalità di giudici e pubblici ministeri si è estesa in modo abnorme, è lecito porre anche per la magistratura un problema di limiti e contrappesi. Se giustamente la cultura liberaldemocratica ha sempre nutrito forti sospetti nei confronti del potere politico eletto democraticamente al punto da imbrigliarlo in quel sistema di pesi e contrappesi che costituisce l’essenza dell’odierno costituzionalismo, la stessa preoccupazione dovremmo nutrirla oggi nei confronti dell’ordine giudiziario. Anche nei confronti di quest’ultimo, infatti, deve vivere il collaudato principio della separazione dei poteri tra pubblici ministeri e giudici ed il conseguente loro inserimento in complessi organizzativi diversi, in modo da costringere gli organi inquirenti a confrontare le loro ipotesi accusatorie non con dei colleghi, ma con degli appartenenti ad un altro potere.

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